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OtRnT #02 - The Guest [ITA]

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Choryunami's avatar
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“Va’ nella tua stanza, Choryunami”. Le parole di Yoruko suonarono come un ordine, pacato ma ineluttabile. “Tuo padre ed io stiamo aspettando un ospite importante. Parleremo a lungo, e non vogliamo essere interrotti per nessun motivo. Sono stata chiara?”
“Certo, mamma”, rispose la ragazzina, “starò al mio posto. Se per qualunque motivo avrete bisogno di me, saprete dove trovarmi”.
Gli occhi scuri come la notte della donna le risposero con una singola occhiata il cui significato non avrebbe dovuto lasciare scampo: le possibilità che qualcuno avesse bisogno di lei durante un incontro tanto serio e delicato erano davvero esigue. Eppure un leggero fremito attraversò per un istante quello sguardo, tradendo la tensione altrimenti ben celata che Yoruko teneva accuratamente a bada, da esperta kunoichi quale era. La verità era che neppure lei sapeva con certezza cosa aspettarsi dall’uomo che stava prendendo le redini della loro terra, per riorganizzarla finalmente e trasformarla in una piccola potenza. Non conosceva ancora esattamente i piani che covava nella sua mente: oggi finalmente avrebbero approfondito la questione.
Poter parlare di persona con il grande Orochimaru era un privilegio riservato a pochi, questo lo sapevano bene, nonostante lei e il marito Kazanryuu avessero già avuto quell’onore in qualche breve occasione. Il ninja rinnegato della Foglia sembrava puntare molto su di loro, per realizzare i suoi progetti, e allo stesso modo i Tokimasa ammiravano la sua forza misurata e ribelle, indisposta a sottostare alle vuote promesse di sonnolenti periodi di pace. Le idee del Paese del Fuoco erano sciocche e infantili, su questo i tre concordavano. Concentrarsi sulla convinzione che la pace tra le terre ninja si potesse non solo ottenere, ma addirittura difendere e mantenere, era inconcepibile. A lungo Yoruko e Kazanryuu avevano temuto per la sicurezza e della loro terra, neutrale ma certo non immune a eventuali attacchi. Ora, finalmente, qualcuno si offriva di guidarli nell’organizzazione di un vero villaggio ninja, che avrebbe riunito gli individui più dotati nell’arte del ninjutsu e restituito prestigio e credibilità a quelle verdi lande desolate e abbandonate a se stesse. Tutti sembravano sempre così ben disposti a coltivarle, ma a nessuno passava per la testa che sarebbe stato di gran lunga più ragionevole pensare anche a difenderle e tenersi pronti all’eventualità di un conflitto. Non c’erano praticamente altri, nel Paese delle Risaie, che avessero davvero conservato memoria delle arti ninja, a parte l’ultima famiglia del clan Tokimasa: loro non avevano mai smesso di credere che fossero il tesoro più prezioso, e che prima o poi sarebbero tornate utili, o meglio, si sarebbero ancora una volta rivelate indispensabili. Da soli non potevano molto; ma in compenso quell’Orochimaru si era dimostrato un eccellente scopritore di talenti, e probabilmente aveva già iniziato a infoltire i propri ranghi: con lui non sarebbero stati soli, ma parte di un piccolo esercito perfettamente organizzato e accuratamente scelto.
Per questo Yoruko non sapeva dire con certezza neppure a se stessa se quell’uomo avrebbe forse potuto vedere qualcosa di speciale in Choryunami. Il suo lato marziale probabilmente ci sperava, sarebbe stato motivo di immenso orgoglio per la loro famiglia, e per questo preferiva tenere la bambina in disparte finché non fosse giunto il momento più opportuno per presentarla. Ma forse, nel suo cuore indurito dalla più ferrea disciplina, resisteva ancora una scheggia di puro e semplice amore materno, un residuo di naturale sensibilità e intuito di donna. Quella scheggia, forse, sperava solo che sua figlia non venisse coinvolta. Almeno, non ancora.

“Presto, va’!” La donna si riscosse dallo scorrere rapidissimo dei suoi pensieri, allertata dal vago sussurro di passi che si avvicinavano all’esterno. Il suo udito era sempre stato sopraffino.
“Hai!”, rispose secca e sorridente Choryunami: accennò un inchino e si avviò a passi leggeri e veloci verso la sua stanza, in fondo al corridoio. Prima di entrare, lanciò un’occhiata fugace verso il grande ingresso principale, in direzione del quale i suoi genitori si stavano affrettando, poi scomparve nella sua camera e chiuse dietro di sé il fusuma, la porta scorrevole decorata, come quasi tutte quelle della casa, in toni di blu e motivi di dragoni dorati. I suoi occhi si posarono su quel particolare drago, che fin da quando era piccola le teneva compagnia e vegliava su di lei ogni volta che si rifugiava nel suo piccolo mondo. A volte si perdeva a contare le sue squame, ad ammirare quegli artigli così affilati, pronti a ghermire. Le sue fauci sarebbero potute apparire terrificanti… eppure lei l’aveva sempre trovato così tranquillizzante. Come se sapesse che custodiva un potere immenso, ma non l’avrebbe mai usato per fare del male, meno che mai a lei, lei che da quella figura mitica si era sempre sentita protetta. A volte aveva provato a dire a sua madre quanto quei draghi dipinti o scolpiti nella casa le piacessero, quanto certe volte le sembrassero addirittura creature vive, intelligenti e sagge.
“Non dire sciocchezze”, si era sentita rispondere. “Sono solo ornamenti vecchi di secoli, messi lì da qualcuno che, tra tutto quello che avrebbe potuto ritrarre, doveva essere particolarmente fissato con quelle bestie. Non direi che avesse particolare inventiva.”
“Ma allora perché anche tutti i nostri vestiti più belli sono blu, e ricamati con draghi d’oro?”, controbatteva lei, con gli occhi che luccicavano dell’eccitazione di chi sa di aver messo l’altro alle strette, e di averlo costretto a rivelare un’emozionante verità.
“È una vecchia tradizione. Sono motivi che i nostri avi amavano mettere un po’ dappertutto, te l’ho detto. Molti dei nostri oggetti più preziosi sono stati tramandati di padre in figlio e di madre in figlia per generazioni. Tutto qui. Vedi di non perderti in fantasie assurde, e torna a studiare, piuttosto”.
E a lei piaceva studiare, anche se preferiva di gran lunga le storie e le nozioni che le insegnavano sempre qualcosa di nuovo sul mondo, rispetto ai lunghi allenamenti a cui spesso doveva sottoporsi; a volte imparava mosse divertenti, e le piaceva saltare e fare piccole acrobazie, ma non capiva perché i suoi genitori, che erano anche i suoi insegnanti, in certe occasioni si infervorassero così tanto. Parlavano di guerre, combattimenti veri, di rischiare la propria vita… e a quel punto non si divertiva più. Lei non voleva combattere proprio con nessuno, se non per gioco.
Da poco aveva iniziato a comprendere le parole che riempivano quei lunghi discorsi che, certe notti, continuavano a echeggiare nei corridoi in penombra fino a tardi: quando era più piccola erano semplicemente incomprensibili. Ora erano solitamente noiosi, quando non diventavano addirittura un po’ preoccupanti. Ma stava crescendo, e probabilmente c’erano tante cose che non sapeva e che presto avrebbe dovuto imparare. Doveva fidarsi di mamma e papà. Loro senza dubbio la sapevano lunga su ogni cosa, e l’avrebbero guidata, anche se a volte i loro metodi non la convincevano del tutto.

Choryunami aveva quasi dodici anni, ma aveva conservato tutto l’entusiasmo e la curiosità dell’infanzia. Anche ora, mentre restava obbediente nascosta nella sua camera, tendeva l’orecchio verso il corridoio, cercando di farsi un’idea di cosa stesse accadendo. Aveva capito che lì si sarebbe presto svolta un’intima riunione durante la quale forse si sarebbero decise importanti sorti del suo villaggio; aveva solo intuito chi potesse essere coinvolto, ma di certo aveva già sentito parlare di quest’uomo venuto da Sud che sembrava tenere così tanto alla collaborazione della sua famiglia. Non l’aveva mai visto, ma di certo doveva essere un tipo di grande carattere, capace di convincere in fretta le persone, se dopo così poco tempo anche i suoi genitori, sempre così chiusi, avevano già tanto a cuore i suoi progetti. Si divertì per qualche istante a immaginare che aspetto potesse avere. Magari era così persuasivo perché la sua stazza era immensa, e incuteva terrore nella gente semplicemente torreggiando su di loro. Soffocò una risatina quando immaginò un figuro tozzo e tutto muscoli coi capelli corti e sempre arruffati e un’espressione molto poco intelligente. E quasi scoppiò in una risata fragorosa quando le affiorò alla mente l’immagine di un ometto vecchio, rinsecchito e tediosissimo che srotolava progetti di nuovi edifici sul tavolo. Aveva sentito che doveva avere quasi cinquant’anni, che per lei suonavano già come un’età piuttosto veneranda, quindi sì, quella doveva essere per forza la possibilità più plausibile.

D’un tratto, però, interruppe quel suo buffo gioco e trattenne il fiato, in ascolto. Dall’apertura che dava sul giardino percepì il suono di passi che si muovevano dal muro di cinta all’ingresso della casa, lenti e regolari, sempre più vicini, mentre i tonfi leggerissimi sul legno del corridoio le suggerivano che i suoi genitori si stavano disponendo con la rapidità e la precisione che tradiva il loro retaggio e il loro addestramento. Ogni movimento un perfetto passo di danza: ed essere impeccabili non era mai stato importante quanto quel giorno.
Choryunami fece scorrere di qualche centimetro lo shoji che dava sul giardino, quanto bastava per sporgere appena la testa, aspettandosi di vedere un corteo di persone importanti in attesa di entrare… ma da lì non poteva vedere la facciata dell’edificio. Tutto ciò su cui il suo sguardo si poté soffermare, mentre ancora tendeva l’orecchio, erano l’erba verde e le rocce levigate che circondavano la casa, e il piccolo tempietto di pietra con il drago spezzato. A volte si divertiva a inventare storie su quel piccolo monumento così vicino alla sua stanza: da quanto era lì? Chi l’aveva ridotto in quel modo, e quando? Era stato un incidente? E soprattutto, perché nessuno si era mai preso la briga di ripararlo?
Tuttavia non poté attardarsi con le sue congetture, questa volta. Sentì scorrere la porta dell’ingresso principale, e saluti ossequiosi furono scambiati nel genkan. Il tono di voce era basso, e lei non poteva distinguere le parole. Riusciva però a percepire il suono di una voce sconosciuta, particolarissima, indefinibile, a tratti quasi inumana… o forse era solo la voce di un uomo molto anziano. Alla fine, forse aveva avuto ragione. La più buffa delle sue congetture era probabilmente quella più vicina alla realtà. E ora era ancora più curiosa di vedere il volto di quel personaggio tanto misterioso. Ricordò a se stessa, però, che non poteva uscire da lì, se non voleva rischiare un incidente diplomatico. Tornò dunque alla porta della sua stanza e, curiosa com’era, provò almeno a cogliere qualche parola.

L’impresa si rivelò impossibile: tutti dovevano essersi ritirati nella più grande e raffinata delle stanze, la più adatta a ricevere ospiti, e certamente la porta era stata chiusa alle loro spalle. La bambina si concentrò allora sulle voci, se non sulle parole: a parte quelle dei suoi genitori e dello sconosciuto dalla voce che suonava quasi come una cantilena ipnotica, non ne riconobbe altre. Forse davvero era venuto da solo. Oppure era accompagnato da poche guardie silenziosissime. Continuò ad ascoltare, immobile, aprendo appena uno spiraglio nel suo fusuma, mentre il drago dipinto sembrava rivolgerle uno sguardo di rimprovero. Passò alcuni minuti così, seduta a terra. I toni della discussione sembravano alternarsi tra momenti di calma e improvvisi moti di entusiasmo, e di certo non coglieva alcuna nota di disaccordo o di asprezza tra gli interlocutori. Quella­­­­ che sentiva era l’eccitazione di chi sta finalmente per raggiungere un traguardo importante, dopo anni di fatiche e di ricerca. Poteva già dire che quell’incontro si sarebbe risolto in un successo, forse addirittura in qualche cambiamento epocale. Chissà se lei ne avrebbe fatto parte in alcun modo… sarebbe stato emozionante!

Questo pensiero si impossessò improvvisamente di lei, e il desiderio di scoprire di più si fece insostenibile. Ponderò la situazione per pochi brevi istanti. Soppesò il rischio della sua disobbedienza contro l’eccitazione di scoprire per prima qualcosa di segretissimo e immensamente importante, e come questo avrebbe potuto influire sul suo destino. Le sue dita scivolarono sul legno del fusuma prima ancora che se ne fosse resa conto, e iniziarono a spingerlo lentamente, senza fare alcun rumore, allargando lo spiraglio quanto bastava perché potesse scivolare nel corridoio. Avanzò lenta, quasi strisciando, e senza provocare il minimo scricchiolio delle assi di legno. Ora le voci iniziavano a farsi più definite. Scivolò come un’ombra lungo la parete opposta, e si soffermò ad ascoltare.

“Questa sarà indubbiamente una delle nostre priorità.” Le parole erano finalmente comprensibili. Continuò ad ascoltare la voce di sua madre, trattenendo il respiro. “Io stessa sarei lieta di offrirmi come insegnante, anche se certo voi conoscerete molti maestri di ben più profonde conoscenze.”
“Non sottovalutare il tuo valore, Yoruko.” Questa volta fu l’estraneo a parlare. “Senza alcun dubbio avrai un ruolo indispensabile nell’avvio delle attività del villaggio. Entrambi lo avrete. Raramente ho incontrato ninja tanto nobili e fedeli alla loro via come siete voi, e per questo avete la mia più sincera ammirazione. Sarei uno sciocco se non tenessi in considerazione le vostre eccezionali qualità, e non vi permettessi di metterle a frutto nelle migliori condizioni.”
“Le vostre parole ancora una volta ci onorano, Orochimaru-sama”, rispose Kazanryuu, con un tono reverenziale che sua figlia non gli aveva mai sentito usare. La cosa si faceva sempre più interessante. Chi era mai quel tipo che sembrava aver ridotto suo padre, l’uomo più irreprensibile e autoritario del mondo, al ruolo di un umile sottoposto? Doveva scoprirlo. Ad ogni costo. Avanzò di un altro passo, senza produrre il minimo rumore.
“Dico la verità”, proseguì lo sconosciuto. “Non vi avrei parlato di quelle imminenti missioni con tanta dovizia di particolari, altrimenti. Come vi ho già detto, saranno di vitale importanza per stabilizzare fin da subito  il nostro neonato villaggio, e desidero che nessun altro se ne occupi. Voi siete coloro di cui mi fido di più, e ho ragione di credere che non mi deluderete.”
“Naturalmente, Orochimaru-sama.” Il tono di Yoruko era lusingato, ma fermo. “Con orgoglio mettiamo la nostra vita al servizio vostro e di questa terra, che finalmente avrà una degna guida. Vi seguiremo e verseremo il nostro stesso sangue per voi, se necessario.” Si udì un lieve fruscio di stoffa, come causato da un rapido inchino. Il sorriso compiaciuto dell’ospite, al contrario, non fece alcun rumore. Nessuno dei due ninja lo notò, né colse la luce sinistra che sembrò emanare per un attimo.

Calò un breve silenzio carico di deferenza, e allora Choryunami si decise a fare il passo decisivo. Con la massima cautela si avvicinò ancora un po’ alla sottile apertura che dava sulla stanza, e sporse la testa quel tanto che bastava a permetterle di sbirciare appena. Per qualche secondo la sua visuale fu confusa dalla luce che filtrava dall’esterno, attraverso la carta di riso, dietro le figure che sembravano effettivamente solo tre. Riconobbe subito suo padre e sua madre, con un solo colpo d’occhio. Poi, via via che i suoi occhi si riabituavano all’illuminazione dell’ambiente, anche la terza misteriosa sagoma iniziò a farsi più definita.
Non era un uomo particolarmente alto, né tantomeno massiccio, come aveva immaginato all’inizio. Dunque non era affatto un energumeno minaccioso che contava sulla mera forza fisica per farsi ascoltare. Al contrario, la sua figura appariva quasi minuta in confronto a quella di suo padre: sottile e slanciata, ma di certo non gracile. Lo vedeva di spalle, intuiva appena il suo profilo, e non poté fare a meno di notare subito i lunghi capelli neri che gli conferivano insieme un aspetto elegante e, in qualche modo, autorevole. Nobile, perfino. Era così diverso da come lo aveva immaginato… e pur senza poterlo vedere in volto, senza capire bene perché, poteva percepire chiaramente la soggezione che emanava. Forse era quell’alone di mistero a intimorirla. Ne aveva un po’ paura, ma allo stesso tempo ne era affascinata… sicuramente incuriosita. Avrebbe tanto voluto vedere il suo viso, però non doveva assolutamente farsi scoprire. Chissà se il tempo gli aveva già scavato qualche ruga intorno agli occhi, o se anni di battaglie gli avevano lasciato cicatrici che accrescevano ancora di più quella sua aura di guerriero pacato ma implacabile, forgiato da un’antica conoscenza e da crudeli esperienze. Restò immobile quando riprese a parlare, cercando di abituarsi a quella voce vibrante e sinuosa, che sembrava strisciare piano per introdursi in ogni crepa della stanza, o dell’anima.
“È deciso, dunque. Le attività dell’Accademia saranno pronte a partire a breve, e ovviamente voi sarete informati di ogni progresso in merito. Gli ambienti sono ormai quasi tutti predisposti; non ci vorrà molto tempo a ultimare i preparativi.”
“Avete già selezionato i primi studenti, immagino”, ipotizzò Yoruko, con un interesse che sfociava in un’impercettibile apprensione.
“Naturalmente. Le famiglie ancora interessate o portate per le arti ninja non sono più molte in questo Paese, ma sono riuscito a individuare molti giovani promettenti. Altri probabilmente verranno anche da oltre confine: incredibile quanto spesso si incontrino ancora ragazzi rifiutati o abbandonati perché ritenuti “mostruosi”… ma l’ignoranza delle altre terre potrà diventare la nostra forza. Noi li accoglieremo con il rispetto che meritano, daremo loro un addestramento adeguato e ci ripagheranno divenendo le nostre punte di diamante. Mi sono imbattuto in abilità prodigiose, a dir poco, e non riesco a smettere di stupirmi al pensiero di quanto ciechi si debba essere per disprezzare simili meraviglie.”
Yoruko e Kazanryuu videro i suoi occhi lampeggiare di eccitazione al solo pensiero di quelle misteriose capacità, e sentirono crescere anche il proprio entusiasmo. “Straordinario”, osservò lui. “E generoso da parte vostra.”
“Quei giovani serviranno senz’altro al bene e alla forza del nostro villaggio”, aggiunse Yoruko, “ma certo non è da tutti accogliere estranei nelle proprie file. È ammirevole, senza dubbio. E molto, molto astuto.”
“Sono lieto che condividiate in tutto la mia visione”, ribatté l’uomo, con pacato compiacimento. Dopo una breve pausa, come se stesse riflettendo su qualcosa, aggiunse: “Per il momento possiamo fermarci qui.”
Choryunami si mosse subito per strisciare via in tempo per non essere trovata in corridoio, mentre i suoi genitori iniziavano a rilassare i muscoli e a prepararsi a congedare l’ospite.
“Tuttavia”, continuò, e lei non resistette alla tentazione di bloccarsi e restare per ascoltare fino alla fine la conversazione, “ho come l’impressione che abbiamo tralasciato qualcosa di estremamente importante”. Accentuò la parola estremamente  con un sibilo sordo. I suoi due interlocutori si immobilizzarono e tornarono a guardarlo, con un’espressione rispettosa ma interrogativa, in attesa di scoprire a cosa si riferisse.
“Vi ascoltiamo”, Yoruko lo invitò a proseguire.
L’uomo sorrise, smaliziato. “Uno dei miei allievi più promettenti è qui con noi, e ci sta ascoltando in questo preciso momento.”
Così dicendo si voltò quasi casualmente verso l’ingresso della stanza, incontrò lo sguardo di Choryunami, che sbirciava timidamente da dietro la porta, e la fissò, dritto negli occhi. La ragazzina trasalì così forte che tutti si accorsero della sua presenza. Col cuore che batteva all’impazzata, si aggrappò al legno della porta, terrorizzata per essere stata scoperta e soprattutto colta del tutto alla sprovvista da quello che vide.
La pelle del misterioso ospite era chiarissima, addirittura bianca, e appariva liscia e perfetta sui suoi lineamenti longilinei e affusolati. Definire la sua età sarebbe stato impossibile, anche se difficilmente qualcuno gli avrebbe attribuito più di trent’anni. Ma più di tutto, erano i suoi occhi. Furono quelli a pietrificarla, ammaliarla, agghiacciarla. Erano gialli. Un giallo dorato come quello degli occhi dei serpenti velenosi. E forse era la suggestione dello shock, ma perfino le sue pupille le sembrarono strette e verticali come quelle dei rettili. Non aveva mai visto nulla di simile. Non riuscì a muoversi, né a emettere un suono.
Allora l’uomo rise, e il timore che incuteva sembrò sciogliersi in un sorriso stranamente rassicurante. “Non avere paura! Perdonami, non volevo spaventarti. Il mio nome è Orochimaru. Tu devi essere Choryunami Tokimasa, e dicevo sul serio quando ti ho definita un’allieva da cui mi aspetto grandi cose”. Questo la confuse ancora di più, e non la aiutò a riprendere possesso delle sue facoltà motorie. Intanto, i suoi genitori la stavano fulminando con uno sguardo più che eloquente, e Yoruko aprì la bocca per rimproverarla, ma Orochimaru la fermò, riprendendo la parola. “Infatti, avete visto? Io stesso mi sono accorto a malapena della sua presenza. Non è da tutti riuscire a passarmi inosservato. Neppure i migliori ninja sono capaci di tanto. L’avete già addestrata?”
“Sì, Orochimaru-sama”, rispose Yoruko reprimendo l’imbarazzo, benché l’uomo sembrasse del tutto serio e affatto sarcastico. “Abbiamo già iniziato a trasmetterle le nostre conoscenze e alcune delle tecniche di base, ma ovviamente avrà bisogno di frequentare regolarmente l’Accademia.”
“E naturalmente lo farà”, assicurò compiaciuto. Poi si voltò di nuovo verso la bambina. “Coraggio, non startene lì nascosta! Vorrei conoscerti meglio”, e continuando a sorridere amabilmente le tese la mano.
Ancora scossa da quella visione, e un po’ tremante per lo spavento di essere stata colta in flagrante, si fece pian piano coraggio e sgusciò fuori dal suo ormai inutile nascondiglio. Apparve nello spiraglio del fusuma e avanzò lentamente, finché, quando fu abbastanza vicina a quell’ospite autorevole e cordiale, si inchinò profondamente. “Molto piacere, Orochimaru-sama. Il mio nome è Choryunami, come avete ben indovinato”, disse. L’uomo dalla carnagione eburnea ricambiò l’inchino, educatamente. “Piacere mio”, rispose. Poi ruppe improvvisamente le formalità e la avvicinò delicatamente a sé cingendole le spalle. “Sei davvero una ragazza in gamba, sai?” le disse, con lo sguardo di un padre orgoglioso. “Fidati di me, sei nata per diventare una grande kunoichi.”
Colta alla sprovvista, ma conquistata da quello sguardo benevolo, Choryunami provò ad accennare un sorriso, ancora turbata da quell’uomo indefinibile, e a corto di parole da dire.
“Naturalmente frequenterà l’Accademia”, riprese, rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori. “E quando sarà il momento, intendo addestrarla io stesso”. Yoruko e Kazaryuu si trattennero a stento dallo sgranare gli occhi per lo stupore. Ora erano loro a essere stati colti alla sprovvista.
“Orochimaru-sama…” Kazanryuu riprese la parola; “questo sarebbe per noi un immenso onore. Non siamo certi di meritare un simile priv…”
“Questa ragazza è speciale, Kazanryuu. Io posso percepirlo chiaramente. Ed è nel mio pieno interesse sorvegliare personalmente il suo allenamento e i suoi progressi. Sarete fieri di lei. Dovreste esserlo già adesso”. La guardò con un altro sorriso bonario, così in contrasto con la sua reputazione di ninja implacabile, e alla fine, seppure ancora un po’ confusa e frastornata, lei lo ricambiò, un po’ più decisa, sostenendo a fatica quello sguardo ambrato. Ora che erano così vicini poteva vedere chiaramente che la sua non era stata solo suggestione: aveva davvero le pupille a fessura di un rettile. Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto essere terrorizzata da un individuo simile; sapeva che tra i ninja esistevano persone con abilità straordinarie che spesso conferivano loro anche caratteristiche fisiche insolite… ma ciò che ora aveva davanti superava ogni immaginazione, e ogni ragionevole anomalia fisica. Eppure la paura non riusciva a prendere il sopravvento su di lei. Era intimorita, certo, un po’ imbarazzata e profondamente in soggezione, perché sapeva bene di essere al cospetto di uno degli uomini più autorevoli del suo tempo, così come sapeva che era definito da tutti un “ninja leggendario”. Tuttavia, per quanto possibile i suoi modi affabili la mettevano a suo agio, e la rassicuravano di non essere in pericolo. Anzi, si sentiva come protetta dalla promessa di una tale forza e dalla manifestazione di tanta gentilezza. Inoltre, aveva detto di credere in lei, di avere grandi aspettative: indubbiamente ciò la lusingava, la faceva sentire importante, e sentiva di non volerlo deludere. Era la prima volta che qualcuno di tanto influente riponeva in lei una tale fiducia, e lei ce l’avrebbe messa tutta per non tradirla.

“È tempo che vada”, disse infine Orochimaru. “Riceverete presto un mio messaggio con il quale sarete convocati. Saprete allora con esattezza che cosa vi verrà chiesto di fare per il momento. La vostra collaborazione è preziosa, e ripongo in essa la mia massima fiducia. So bene che farete onore al vostro nobile nome, e al nostro nascente villaggio.” Kazanryuu e Yoruko, ancora in piedi di fronte all’uomo, con un movimento deciso e misurato chinarono all’unisono la testa, in segno di assenso e rispetto.
Poi si rivolse di nuovo a Choryunami, in piedi di fianco a lui, con uno di quei sorrisi gentili che sembrava riservare solo a lei. “Ci rivedremo presto”, le disse, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla. “Non trascurare i tuoi allenamenti, d’accordo?” Lei rispose annuendo energicamente, con il sorriso più impavido che riuscì a sfoderare. Allora lui le toccò la testa come un padre benevolo, in segno di saluto, e si avviò a passi misurati verso la porta che dava sul corridoio. I suoi stessi movimenti le sembravano inspiegabilmente ipnotici.
I padroni di casa lo accompagnarono all’ingresso principale, scambiando con l’ospite qualche ultima parola prima di congedarlo. Choryunami era rimasta indietro, vicino all’entrata del salone, e da lì guardò l’uomo uscire e scomparire, con un misto di emozioni che la scuotevano silenziosamente. Era come se ora avesse uno scopo, un motivo per impegnarsi davvero in quegli esercizi che i suoi genitori le avevano imposto fin da quando era piccola. Per lei era sempre stato un gioco, ma certe volte poteva diventare così noioso… ora però c’era una persona importante che, per qualche ragione, avrebbe apprezzato i suoi sforzi. Non avrebbe saputo dire perché fosse così ansiosa di rendere orgoglioso qualcuno che aveva visto appena per pochi minuti. Ma in qualche modo, durante quel brevissimo incontro, quell’uomo le aveva trasmesso una fiducia, in lui e in se stessa, che non aveva mai sperimentato prima.

La porta d’ingresso si richiuse con un sussurro di legno levigato e un tonfo sordo. Dall’altra parte, l’uomo dagli occhi di serpente si attardò solo per un istante sull’engawa per contemplare i draghi dorati che dall’alto sorvegliavano l’ingresso della dimora, prima di avviarsi lentamente verso il cancello e uscire dal giardino. Non appena ebbe varcato il confine, dal tetto saltò giù un ragazzo dai capelli d’argento raccolti in una coda: l’unica guardia che Orochimaru avesse sentito il bisogno di portare con sé. Percorse come un lampo il muro di cinta fino a raggiungere la strada principale e atterrò agilmente e quasi senza un suono al fianco del suo signore, che gli rivolse uno sguardo soddisfatto: senza parlare, gli comunicò l’esito della sua visita. Percorsero pochi passi fino a raggiungere gli alberi che fiancheggiavano la via. Poi un battito di ciglia, ed erano scomparsi entrambi.


...How could she fear something so beautiful?

English version coming soon. Hopefully. HERE!

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Naruto, Orochimaru and Yakushi Kabuto are (c) Kishimoto Masashi
Tokimasa Choryunami, Kazanryuu and Yoruko are (c) Choryunami

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